mercoledì 25 novembre 2015

Ghiaccio.


Frank calò la testa ancora di più dentro il giubbotto, oh sì il freddo era arrivato, era proprio quella parte dell'anno che preferiva, quella in cui si cercava il calore del letto, del fuoco e delle emozioni umane. Tutto sommato Frank era una buona persona, trascinava avanti i passi nel freddo per tornare a casa dalla sua famiglia, sua moglie sicuramente lo stava aspettando e proprio in quel freddo iniziava a sentirne il bisogno. Sentiva di dover in qualche maniera ringraziare il freddo per questo. Accelerò il passo per fare prima. Pensava a quanto dovesse ringraziare la sua fortuna per essere in quella situazione, il lavoro che faceva gli dava la giusta spinta per tirare avanti e la sua famiglia, proprio quella, lo aiutava a sentirsi amato. Coinvolto da tutto questo pensare non si rese conto dei primi fiocchi di neve che timidamente stavano iniziando a cadere. Solo quando un fiocco, il più coraggioso di tutti, andò a posarsi con insolenza sulla punta del suo naso. Frank sorrise, non riusciva a capirne il perché, ma la neve lo aveva sempre fatto sorridere, amava l'atmosfera che creava, scendendo copriva tutto, ma avvicinava le persone. Senza rendersene conto stava quasi correndo per tornare dalla sua famiglia. Nonostante in quel momento non ci fosse in giro anima viva e il freddo stava pungendo i suoi occhi e qualsiasi estremità del suo corpo, Frank era felice, era tornato bambino, si sentiva quasi un'idiota a sorridere da solo e senza nessun motivo apparente. Se qualcuno lo avesse visto lo avrebbe preso per matto probabilmente. Proprio mentre era preso da tutta questa allegria gli parve di sentire un singhiozzo in lontananza. In quel viale che iniziava a coprirsi pian pianino di bianco, almeno dove la neve riusciva a fare breccia, cercava con gli occhi la fonte di quel rumore. Come poteva qualcuno essere triste in quel momento, come poteva non riuscire a capire che avrebbe dovuto essere contento, contento di tornare da qualcuno che gli avrebbe voluto bene, che lo avrebbe fatto sentire a casa, come faceva a non sentire il bisogno del calore. Cercava con gli occhi dovunque, poiché percepiva il bisogno di aiutare, il bisogno di tirare su di morale quella persona. Da una via laterale appena in penombra stava una figura seduta sul bordo del marciapiede. Frank decise di tirare dritto, ma una parte di lui voleva fermarsi a confortarlo o almeno cercare di comprendere il perché di quella tristezza. Riuscì a fare una decina di metri prima che la sua coscienza gli imponesse di tornare indietro, era sempre stato un tipo sensibile, da quando era piccolo gli altri lo avevano cercato per sfogarsi o per un po' di conforto, probabilmente perchè era in grado di dire quello che gli altri avevano bisogno di sentirsi dire. Imboccò il vialetto per avvicinarsi a quell'ombra triste. Decise di darle spazio e si fermò a 4-5 metri di distanza. Intanto cercò di capire qualcosa di più su quella figura. Forse era un ragazzo, riusciva a capirlo dalla linea delle spalle, ma per quanto si sforzasse di mettere a fuoco quell'ombra non riusciva ad attribuirgli delle caratteristiche, come se non bastasse il lampione all'inizio del vialetto aveva deciso di dare forfé al freddo e continuava ad accendersi e spegnersi. “Devo essere stanco”, si strofinò l'occhio destro credendo di risolvere il problema della vista, ma ancora non riusciva a capire chi fosse quel “ragazzo” seduto. “Non deve essere del quartiere” pensò. Decise di indirizzare la voce verso quell'ombra : “Tutto bene? Stare fuori immobile con questo freddo che sta arrivando non ti aiuterà a stare meglio, al massimo ti può aiutare a prendere una polmonite!”. L'ombra alzo la testa verso il visitatore, inclinò la testa verso l'alto “Come fai?”. C'era qualcosa di strano in quella voce, iniziò a sentire ancora più freddo, ma probabilmente a casa sua moglie stava preparando un minestrone e decise che poteva sopportare ancora per un po' il freddo. Il minestrone non gli piaceva. “C-Come faccio a fare cosa?” la voce gli uscì rotta dal freddo, “ Meglio se ci spostiamo da qui sai? Da quanto sei qui fuori al freddo? Sai che non fa bene”. Fece un passo verso l'ombra, cercando di suggerirgli con il corpo che poteva dare una mano. Almeno accompagnarlo a casa. “Come fai a essere così felice?”. Il suono cristallino di quella voce fece rabbrividire Frank, che iniziò quasi a saltellare sul posto per scacciare i brividi. “Felice? Questione di giornate, oggi mi sento particolarmente allegro, tu, invece, perché sei triste?”. “Perchè questo freddo di rende felice? Dovresti essere già al coperto, dovresti percepire la fretta di ripararti da qualche parte, invece sei qui, ti ho visto sorridere come un ebete in questo gelo”. Frank si sentì leggermente offeso, in fondo era lì che cercava di capire il motivo della tristezza dello sconosciuto, non a spiegare il perchè della sua felicità. Decise di sbilanciarsi un po' con lo sconosciuto: “Amo il freddo, scusa se sorrido, ma credo che è quello di cui abbiamo bisogno per apprezzare il calore delle cose e delle persone”. “Pensi che riuscirò mai a provare il calore? Dico nel cuore. Sento il bisogno di provarlo, sento la necessità di comprendere il motivo della tua allegria”. Frank era perplesso, ma decise di farsi capire: “ Credo di sì, non è così difficile, mi piace mettermi vicino alla stufa in queste sere gelide, apprezzo ancora di più quando sono in buona compagnia, mi fa sentire a casa, caldo. Tu non hai qualcuno che ti aspetta? Tua madre probabilmente sarà preoccupata”. L'ombra iniziò ad avere dei leggeri scossoni e Frank ci mise un paio di secondi per realizzare che lo sconosciuto stava ridacchiando. “Non ho madre, padre o parenti”, la voce ricordava il tintinnio di cristalli, capì che stava trovando la domanda buffa. Frank si intristì pensando a quel povero cristo fuori nel nulla e senza nessun contatto. “ Non hai nessuno che ti sta aspettando? Scusa, ma mi sembra strano”. “Nessuno che mi aspetta o che io stia attendendo, ma secondo te solo una persona come un parente riesce a darti calore, il calore del fuoco?”. “Ragazzo mio, non stiamo parlando di calore come quello del fuoco, parliamo di affetto, è un'emozione umana, te lo può far provare anche uno sconosciuto, ti scalda dentro quando hai i brividi, non posso spiegartelo. Come faccio a farti capire un'emozione o un gesto come un abbraccio? Dovresti saperlo anche tu. Non posso descriverti la felicità, posso spiegarti quali sono le sue cause”. “Perchè ti sei fermato a parlare se non sei in grado di aiutarmi?”. Frank si sentiva a disagio. “Pensavo di riuscire a darti una mano, mi dava e mi dà fastidio vederti lì abbattuto, quando potresti essere da qualche parte a sentirti meglio, dimmi se posso fare qualcosa, se hai fame puoi venire con me, mia moglie ha preparato il minestrone però ti consiglio non dirle che non ti piace”. Si riscoprì a sorridere di quella stupida battuta. “Non ho fame, ho solo bisogno di sentire calore delle emozioni, dell'affetto!”. “Se vuoi posso aiutarti anche in quello, dimmi di cosa hai bisogno”. “Fammi sentire il calore”. Frank iniziava veramente a sentire il freddo fare breccia in quello scudo formato dai vestiti. Rabbrividì. “In che modo? Non hai mai provato un gesto d'affetto?”. Frank era perplesso, non riusciva a capire come una persona, anche se giovane, non avesse mai potuto sentire il calore di un altro essere umano o per lo meno aver provato cosa voglia dire un abbraccio o la condivisione di emozioni tra persone. “Abbracciami” disse lo sconosciuto, e più che una richiesta sembrava un ordine. Frank fece un paio di passi verso lo sconosciuto. “Non mi hai detto qual è il tuo nome”. “Non è necessario che tu lo sappia”. Frank a disagio rispose “ è proprio quello il punto di condividere emozioni, condividi parte di te stesso a un'altra persona e speri che la accetti o almeno provi a sentirla come sua, se costruisci barriere con le persone che ti stanno intorno, non potrai mai provare emozioni, la felicità arriva per la gran parte dall'esterno. È di questo che come persone abbiamo bisogno”. “Non ho un nome”. Adesso Frank stava veramente pensando di andarsene, restare lì a tergiversare con uno sconosciuto che oltretutto lo stava anche prendendo in giro, ma il suo carattere gli ricordò di portare pazienza. “Devi averne uno, non mi prendere in giro!”. Lo sconosciuto si alzò in piedi, sembrava veramente molto più alto ora di quello che potesse sembrare prima, ma fu quando uscì dalla penombra che a Frank si raggelò il sangue, come se il freddo non fosse bastato. Lo sconosciuto era un essere, non umano sicuramente, era del colore del ghiaccio, con delle venature azzurrine in prossimità di dove dovevano essere gli occhi. “C-Chi, cosa s-sei?” “Sono il Gelo”. Frank era bloccato sul posto, per quanto tutto il cervello stesse urlando di darsela alla fuga, lui era bloccato, congelato sul posto. “Abbracciami, fammi sentire il calore di cui mi hai parlato”. “N-non riesco a m-muovermi”. Il Gelo lo stava guardando perplesso, la voce gli usciva dal petto, ma non sembrava avere una bocca. “Come si dà un abbraccio?”. “D-devo and-andare!”. Frank avrebbe voluto urlare, ma ormai ogni parola gli si era congelata in gola. “Non puoi, devi abbracciarmi”. Il Gelo si avvicinò ancora di più, Frank sentiva che stava perdendo coscienza un po' alla volta, ma l'unica cosa che riusciva a provare in quel momento era pietà verso quell'essere che cercava solo un contatto, un'emozione. E così cercò quasi in maniera meccanica di alzare le braccia. Il Gelo cercò di imitarlo. Frank fece un passo per avvicinarsi e abbracciò il Gelo. “Così questo è un abbraccio? Un po' macchinoso da farsi, ma non sento il calore che mi hai promesso, sono triste come prima”. Abbassò lo sguardo verso quell'essere umano e notò che era rimasto congelato, era morto nell'istante in cui si erano toccati. “Stupido avresti dovuto continuare per la tua strada, invece ti sei fermato per farmi provare calore, emozioni”. Con un movimento fluido del braccio fece a frantumi la piccola statua di ghiaccio che prima era un uomo. I piccoli frammenti di ghiaccio finirono dappertutto. Il Gelo era triste nuovamente. “Stupidi esseri che cercano il calore nelle persone, non capiscono che questo tipo di freddo non può essere scacciato con nessun tipo di emozione, per quanto loro possano provarci”. “Che fine ha fatto tutto il tuo calore? Sei ghiaccio ora”. Il gelo iniziò a camminare nella neve e nel freddo singhiozzando, ma più arrabbiato che triste. Perché quell'umano gli aveva mentito, parlato di tutte quelle cose che erano palesemente inventate. Così perso nei sui pensieri il Gelo scomparve.

Che tempo da lupi! Speriamo si sbrighi a tornare, lui e le sue camminate!”. Sara era preoccupata, Frank non era ancora tornato per cena. “Deve essere per il minestrone” pensava tra se, intanto guardava fuori dalla finestra nel buio, mentre la neve scendeva, cercando di intravedere la sagoma della persona che amava. Sarebbe rimasta delusa. Nessuno sarebbe tornato a casa, nessuno sarebbe rimasto deluso dal minestrone quella notte. Nessuno la avrebbe riscaldata.

Quando il cielo iniziò a illuminarsi il giorno dopo, la vita ripartì, intirizziti da quel freddo, sbuffi di vapore uscivano dalle bocche di tutti e si alzavano verso il cielo, quando i raggi del sole si fecero più intensi, quello che restava di Frank iniziò a sciogliersi, con il calore, un po' alla volta.



Nessun commento:

Posta un commento