Frank
calò la testa ancora di più dentro il giubbotto, oh sì il freddo
era arrivato, era proprio quella parte dell'anno che preferiva,
quella in cui si cercava il calore del letto, del fuoco e delle
emozioni umane. Tutto sommato Frank era una buona persona, trascinava
avanti i passi nel freddo per tornare a casa dalla sua famiglia, sua
moglie sicuramente lo stava aspettando e proprio in quel freddo
iniziava a sentirne il bisogno. Sentiva di dover in qualche maniera
ringraziare il freddo per questo. Accelerò il passo per fare prima.
Pensava a quanto dovesse ringraziare la sua fortuna per essere in
quella situazione, il lavoro che faceva gli dava la giusta spinta per
tirare avanti e la sua famiglia, proprio quella, lo aiutava a
sentirsi amato. Coinvolto da tutto questo pensare non si rese conto
dei primi fiocchi di neve che timidamente stavano iniziando a cadere.
Solo quando un fiocco, il più coraggioso di tutti, andò a posarsi
con insolenza sulla punta del suo naso. Frank sorrise, non riusciva a
capirne il perché, ma la neve lo aveva sempre fatto sorridere, amava
l'atmosfera che creava, scendendo copriva tutto, ma avvicinava le
persone. Senza rendersene conto stava quasi correndo per tornare
dalla sua famiglia. Nonostante in quel momento non ci fosse in giro
anima viva e il freddo stava pungendo i suoi occhi e qualsiasi
estremità del suo corpo, Frank era felice, era tornato bambino, si
sentiva quasi un'idiota a sorridere da solo e senza nessun motivo
apparente. Se qualcuno lo avesse visto lo avrebbe preso per matto
probabilmente. Proprio mentre era preso da tutta questa allegria gli
parve di sentire un singhiozzo in lontananza. In quel viale che
iniziava a coprirsi pian pianino di bianco, almeno dove la neve
riusciva a fare breccia, cercava con gli occhi la fonte di quel
rumore. Come poteva qualcuno essere triste in quel momento, come
poteva non riuscire a capire che avrebbe dovuto essere contento,
contento di tornare da qualcuno che gli avrebbe voluto bene, che lo
avrebbe fatto sentire a casa, come faceva a non sentire il bisogno
del calore. Cercava con gli occhi dovunque, poiché percepiva il
bisogno di aiutare, il bisogno di tirare su di morale quella persona.
Da una via laterale appena in penombra stava una figura seduta sul
bordo del marciapiede. Frank decise di tirare dritto, ma una parte di
lui voleva fermarsi a confortarlo o almeno cercare di comprendere il
perché di quella tristezza. Riuscì a fare una decina di metri prima
che la sua coscienza gli imponesse di tornare indietro, era sempre
stato un tipo sensibile, da quando era piccolo gli altri lo avevano
cercato per sfogarsi o per un po' di conforto, probabilmente perchè
era in grado di dire quello che gli altri avevano bisogno di sentirsi
dire. Imboccò il vialetto per avvicinarsi a quell'ombra triste.
Decise di darle spazio e si fermò a 4-5 metri di distanza. Intanto
cercò di capire qualcosa di più su quella figura. Forse era un
ragazzo, riusciva a capirlo dalla linea delle spalle, ma per quanto
si sforzasse di mettere a fuoco quell'ombra non riusciva ad
attribuirgli delle caratteristiche, come se non bastasse il lampione
all'inizio del vialetto aveva deciso di dare forfé al freddo e
continuava ad accendersi e spegnersi. “Devo essere stanco”, si
strofinò l'occhio destro credendo di risolvere il problema della
vista, ma ancora non riusciva a capire chi fosse quel “ragazzo”
seduto. “Non deve essere del quartiere” pensò. Decise di
indirizzare la voce verso quell'ombra : “Tutto bene? Stare fuori
immobile con questo freddo che sta arrivando non ti aiuterà a stare
meglio, al massimo ti può aiutare a prendere una polmonite!”.
L'ombra alzo la testa verso il visitatore, inclinò la testa verso
l'alto “Come fai?”. C'era qualcosa di strano in quella voce,
iniziò a sentire ancora più freddo, ma probabilmente a casa sua
moglie stava preparando un minestrone e decise che poteva sopportare
ancora per un po' il freddo. Il minestrone non gli piaceva. “C-Come
faccio a fare cosa?” la voce gli uscì rotta dal freddo, “ Meglio
se ci spostiamo da qui sai? Da quanto sei qui fuori al freddo? Sai
che non fa bene”. Fece un passo verso l'ombra, cercando di
suggerirgli con il corpo che poteva dare una mano. Almeno
accompagnarlo a casa. “Come fai a essere così felice?”. Il suono
cristallino di quella voce fece rabbrividire Frank, che iniziò quasi
a saltellare sul posto per scacciare i brividi. “Felice? Questione
di giornate, oggi mi sento particolarmente allegro, tu, invece,
perché sei triste?”. “Perchè questo freddo di rende felice?
Dovresti essere già al coperto, dovresti percepire la fretta di
ripararti da qualche parte, invece sei qui, ti ho visto sorridere
come un ebete in questo gelo”. Frank si sentì leggermente offeso,
in fondo era lì che cercava di capire il motivo della tristezza
dello sconosciuto, non a spiegare il perchè della sua felicità.
Decise di sbilanciarsi un po' con lo sconosciuto: “Amo il freddo,
scusa se sorrido, ma credo che è quello di cui abbiamo bisogno per
apprezzare il calore delle cose e delle persone”. “Pensi che
riuscirò mai a provare il calore? Dico nel cuore. Sento il bisogno
di provarlo, sento la necessità di comprendere il motivo della tua
allegria”. Frank era perplesso, ma decise di farsi capire: “
Credo di sì, non è così difficile, mi piace mettermi vicino alla
stufa in queste sere gelide, apprezzo ancora di più quando sono in
buona compagnia, mi fa sentire a casa, caldo. Tu non hai qualcuno che
ti aspetta? Tua madre probabilmente sarà preoccupata”. L'ombra
iniziò ad avere dei leggeri scossoni e Frank ci mise un paio di
secondi per realizzare che lo sconosciuto stava ridacchiando. “Non
ho madre, padre o parenti”, la voce ricordava il tintinnio di
cristalli, capì che stava trovando la domanda buffa. Frank si
intristì pensando a quel povero cristo fuori nel nulla e senza
nessun contatto. “ Non hai nessuno che ti sta aspettando? Scusa, ma
mi sembra strano”. “Nessuno che mi aspetta o che io stia
attendendo, ma secondo te solo una persona come un parente riesce a
darti calore, il calore del fuoco?”. “Ragazzo mio, non stiamo
parlando di calore come quello del fuoco, parliamo di affetto, è
un'emozione umana, te lo può far provare anche uno sconosciuto, ti
scalda dentro quando hai i brividi, non posso spiegartelo. Come
faccio a farti capire un'emozione o un gesto come un abbraccio?
Dovresti saperlo anche tu. Non posso descriverti la felicità, posso
spiegarti quali sono le sue cause”. “Perchè ti sei fermato a
parlare se non sei in grado di aiutarmi?”. Frank si sentiva a
disagio. “Pensavo di riuscire a darti una mano, mi dava e mi dà
fastidio vederti lì abbattuto, quando potresti essere da qualche
parte a sentirti meglio, dimmi se posso fare qualcosa, se hai fame
puoi venire con me, mia moglie ha preparato il minestrone però ti
consiglio non dirle che non ti piace”. Si riscoprì a sorridere di
quella stupida battuta. “Non ho fame, ho solo bisogno di sentire
calore delle emozioni, dell'affetto!”. “Se vuoi posso aiutarti
anche in quello, dimmi di cosa hai bisogno”. “Fammi sentire il
calore”. Frank iniziava veramente a sentire il freddo fare breccia
in quello scudo formato dai vestiti. Rabbrividì. “In che modo? Non
hai mai provato un gesto d'affetto?”. Frank era perplesso, non
riusciva a capire come una persona, anche se giovane, non avesse mai
potuto sentire il calore di un altro essere umano o per lo meno aver
provato cosa voglia dire un abbraccio o la condivisione di emozioni
tra persone. “Abbracciami” disse lo sconosciuto, e più che una
richiesta sembrava un ordine. Frank fece un paio di passi verso lo
sconosciuto. “Non mi hai detto qual è il tuo nome”. “Non è
necessario che tu lo sappia”. Frank a disagio rispose “ è
proprio quello il punto di condividere emozioni, condividi parte di
te stesso a un'altra persona e speri che la accetti o almeno provi a
sentirla come sua, se costruisci barriere con le persone che ti
stanno intorno, non potrai mai provare emozioni, la felicità arriva
per la gran parte dall'esterno. È di questo che come persone abbiamo
bisogno”. “Non ho un nome”. Adesso Frank stava veramente
pensando di andarsene, restare lì a tergiversare con uno sconosciuto
che oltretutto lo stava anche prendendo in giro, ma il suo carattere
gli ricordò di portare pazienza. “Devi averne uno, non mi prendere
in giro!”. Lo sconosciuto si alzò in piedi, sembrava veramente
molto più alto ora di quello che potesse sembrare prima, ma fu
quando uscì dalla penombra che a Frank si raggelò il sangue, come
se il freddo non fosse bastato. Lo sconosciuto era un essere, non
umano sicuramente, era del colore del ghiaccio, con delle venature
azzurrine in prossimità di dove dovevano essere gli occhi. “C-Chi,
cosa s-sei?” “Sono il Gelo”. Frank era bloccato sul posto, per
quanto tutto il cervello stesse urlando di darsela alla fuga, lui era
bloccato, congelato sul posto. “Abbracciami, fammi sentire il
calore di cui mi hai parlato”. “N-non riesco a m-muovermi”. Il
Gelo lo stava guardando perplesso, la voce gli usciva dal petto, ma
non sembrava avere una bocca. “Come si dà un abbraccio?”.
“D-devo and-andare!”. Frank avrebbe voluto urlare, ma ormai ogni
parola gli si era congelata in gola. “Non puoi, devi abbracciarmi”.
Il Gelo si avvicinò ancora di più, Frank sentiva che stava perdendo
coscienza un po' alla volta, ma l'unica cosa che riusciva a provare
in quel momento era pietà verso quell'essere che cercava solo un
contatto, un'emozione. E così cercò quasi in maniera meccanica di
alzare le braccia. Il Gelo cercò di imitarlo. Frank fece un passo
per avvicinarsi e abbracciò il Gelo. “Così questo è un
abbraccio? Un po' macchinoso da farsi, ma non sento il calore che mi
hai promesso, sono triste come prima”. Abbassò lo sguardo verso
quell'essere umano e notò che era rimasto congelato, era morto
nell'istante in cui si erano toccati. “Stupido avresti dovuto
continuare per la tua strada, invece ti sei fermato per farmi provare
calore, emozioni”. Con un movimento fluido del braccio fece a
frantumi la piccola statua di ghiaccio che prima era un uomo. I
piccoli frammenti di ghiaccio finirono dappertutto. Il Gelo era
triste nuovamente. “Stupidi esseri che cercano il calore nelle
persone, non capiscono che questo tipo di freddo non può essere
scacciato con nessun tipo di emozione, per quanto loro possano
provarci”. “Che fine ha fatto tutto il tuo calore? Sei ghiaccio
ora”. Il gelo iniziò a camminare nella neve e nel freddo
singhiozzando, ma più arrabbiato che triste. Perché quell'umano gli
aveva mentito, parlato di tutte quelle cose che erano palesemente
inventate. Così perso nei sui pensieri il Gelo scomparve.
“Che
tempo da lupi! Speriamo si sbrighi a tornare, lui e le sue
camminate!”. Sara era preoccupata, Frank non era ancora tornato per
cena. “Deve essere per il minestrone” pensava tra se, intanto
guardava fuori dalla finestra nel buio, mentre la neve scendeva,
cercando di intravedere la sagoma della persona che amava. Sarebbe
rimasta delusa. Nessuno sarebbe tornato a casa, nessuno sarebbe
rimasto deluso dal minestrone quella notte. Nessuno la avrebbe
riscaldata.
Quando
il cielo iniziò a illuminarsi il giorno dopo, la vita ripartì,
intirizziti da quel freddo, sbuffi di vapore uscivano dalle bocche di
tutti e si alzavano verso il cielo, quando i raggi del sole si fecero
più intensi, quello che restava di Frank iniziò a sciogliersi, con
il calore, un po' alla volta.
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