martedì 17 maggio 2016

A Tarda Ora

Il Silenzio era chiaro, solo la sua musica e quello spazio vuoto, libero dalle parole, libero dal ritmo, tra una canzone e l’altra, era l’ora giusta, l’ora in cui si sentiva in sintonia con il mondo. Abbassò lo sguardo sul suo polso sinistro, c’era solo la retroilluminazione bassa dello schermo a rompere quel nero che aveva intorno, sì, decisamente era l’ora giusta.
Si alzò dalla scrivania e decise di cambiarsi facendo meno rumore possibile, qualcosa di comodo, giusto per fare due passi, forse anche un maglione sarebbe servito, era freddino verso quell’ora, un po’ alla volta il piano iniziò a delinearsi nella sua testa, le sinapsi iniziavano a fare processi strani, forse per la stanchezza, forse per l’ora, preparò il caffè, mentre la caffettiera si scaldava e l’acqua al suo interno iniziava a muoversi si accese una sigaretta. Tra una boccata e l’altra iniziò a guardare fuori dalla finestra, nel buio, quelle piccole luci che spaccavano il ritmo del momento, iniziò a perdersi nel flusso, almeno finché la caffettiera iniziò a sbuffare riportandolo alla realtà, trasferì il contenuto della caffettiera in un thermos, lo mise dentro uno zainetto, ricordò di recuperare le chiavi e uscì di casa, stando ben attento a non fare troppo rumore con la porta d’ingresso.

In strada non c’era nessuno, non sentiva nessuno, qualche macchina in lontananza, qualche rumore difficile da identificare rompeva malvolentieri la cappa di silenzio che vestiva quel momento. Mentre camminava pensava a come amava quest’ora, quanto lui ci si sentisse attaccato, quanto si vedesse dentro quella tranquillità. Il suo cervello era tutto ed era niente, era concentrato su mille cose, ma il pensiero che prevaleva sugli altri era quello del passo, un passo, un altro passo, uno ancora, avanti, su. Mentre si avvicinava al suo obbiettivo, pensava che, forse, la notte era sottovalutata, forse era proprio la luce a essere considerata troppo importante, forse la necessità di riempire il silenzio era sopravvalutata, forse era meglio il silenzio. Forse.

Un altro passo.
Uno ancora.

Mentre camminava si accese un’altra sigaretta e iniziò a osservare mentre a ogni respiro il tizzone della sigaretta che andava in cenere si colorava di un rosso ancora più acceso, ma inesorabilmente si consumava, più luce, più colore, si accorciava. Camminava lasciandosi indietro pensieri strani e nuvolette di fumo, come a fare da traccia, mentre il fumo si diradava, forse quelle nuvolette contenevano una parte di sé, forse un po’ di pensieri.

Era arrivato al suo obbiettivo e come programmato non c’era nessuno, oh se amava quell’ora. Si sedette su una panchina a caso, si tolse lo zaino dalle spalle mentre il vento pungente gli pungeva il viso, l’aria salmastra gli era penetrata nelle narici e il rumore delle onde che colpivano i frangiflutti lo facevano sentire quasi a casa.

Rimase fermo a rispettare quel momento per troppo tempo. Era come bloccato. Il tempo continuava a scorrere, restava comunque poco, nonostante fosse trascorso. Era arrivato il momento. Aprì lo zaino, tirò fuori il thermos e se ne versò una tazza usando il coperchio. Era ancora caldo. Quel contrasto tra il vento, il freddo, il suono del mare e il liquido caldo che gli scendeva per l’esofago era perfezione pura. Eppure sentiva che c’era vuoto. Non era triste, ma sentiva che mancava qualcosa, guardandosi intorno capì: era l’unico che stava apprezzando quel momento. Nessuno aveva avuto la sua stessa idea o la stessa volontà di farlo, forse era l’unico in grado di farlo, forse era strano, ma per lui ne era valsa tutta la pena.
Restò lì fermo ad assaporare quel momento, riusciva a vedersi dal di fuori, si sentiva bene, si sentiva nel suo posto, nel suo ambiente.
Amava quell’ora, ma forse era l’unico. Forse per quello l’amava.
Abbassò lo sguardo verso il polso sinistro e guardò l’orologio, il tempo era passato.
Quasi non si accorse della figura che si stava avvicinando nella penombra.
La figura si sedette sulla stessa panchina. Lui passò all’ombra il thermos e la figura ne prese un sorso.
Intanto rimase a fissare il mare scuro.

 “Sapevo che ti avrei trovato qui”.

Lui sorrise con il coperchio vuoto tra le mani.

“E usa la caffettiera più grande la prossima volta”.

Forse. Forse lo avrebbe fatto.
Amava quell’ora. Forse perché era l’unico. Forse perché in realtà stava parlando alla sua mente ed era solo sulla panchina con i suoi pensieri. Forse.
Si accese un’altra sigaretta mentre il sole iniziava a fare capolino tra le onde e quella timida luce prendeva lo spazio di quel buio che cedeva rispettosamente il passo. Stava per iniziare un altro giorno.


Forse.